Fausto De Marinis : la
pittura come segno e allegria
Enzo Di Grazia
L'ambito di ricerca di
Fausto de Marinis, può facilmente indicarsi nel patrimonio simbolistico
ed allegorico che è parte fondamentale della cultura di tutti
gli uomini, in ogni condizione civile e in qualsiasi collocazione geografica,
per cui i "totem della civiltà" rappresentano una presenza
costante della sua produzione, sia nelle realizzazioni più esplicitamente
politiche e comunicative, sia anche nell'impegno di ricerca grafica
che caratterizza la sua attuale pittura, ripiegata - per necessità
storica - su una linea di maggiore intimismo ed espressività.
Da che cosa nasce questo interesse finanche viscerale, non è
facile definire; né, d'altronde, individuare il "momento
mitico" della genesi aggiunge o toglie qualcosa all'analisi delle
sue opere.
Importante è però, osservare come, una volta segnata questa
direzione maestra, tutto il processo di definizione e di approfondimento
della sua personale grafia risulti improntato - fino ad esserne condizionato
- dagli elementi propri del linguaggio dei simboli, al punto di ricondurre
la pittura a quella condizione di "comunicazione simbolica"
che in qualche modo è sempre stata essa stessa. Sul suo percorso
- non solo quello ideale, - svolto nello studio, attraverso la ricerca
e la pittura; ma anche quello dei frequenti viaggi, in molte direzioni,
in tutte le occasioni, in ogni tempo - de Marinis finisce per incontrare
puntualmente, prima di ogni altra cosa, i codici simbolici della civiltà
indigena, sia nella proposizione immediata ed atavica delle popolazioni,
che se ne servono acriticamente e senza problemi di significazioni,
sia anche nella definizione colta che l'arte ha riassunto nelle epoche
precedenti.
Da un lato, quindi, il suo patrimonio iconografico si arricchisce di
tutti quei "segnali" che per le vie più diverse e per
le motivazioni più strane vengono proposti dai singoli popoli
nelle cerimonie più o meno rituali; dall'altro lato, invece,
l'incontro (e il confronto) si attua immediatamente con quegli autori
classici (o con quella parte della loro opera che risulta congeniale)
che meglio hanno utilizzato lo stesso patrimonio nella loro produzione.
Ne derivano dipinti decisamente popolati di segni, la cui lettura non
è ne facile né immediata, proponendosi i singoli elementi
-posti talvolta in trasparenza rispetto alle diverse superfici, in relazione
anche alle specifiche valenze allegoriche - sia nel loro valore intrinseco
sia anche in rapporto di significazione con altri elementi, derivati
in qualche caso da culture diverse e parallele e dislocati poi in uno
spazio diverso ed a loro apparentemente estraneo. Nella stesura dei
singoli dati, un ulteriore elemento di arricchimento problematico è
dato dalla compresenza, in uno stesso spazio, di letture diverse del
dato allegorico, qualche volta nella versione popolare e primitiva,
altre volte invece filtrato attraverso la "riconversione"
dell'accezione colta, quale èstata determinata da precedenti
utilizzi artistici.
Una pittura sostanzialmente dotta, quindi, nella quale anche il dato
che in superficie risulti più primordiale è frutto invece
di un lungo ed elaborato processo di analisi. Analogamente può
rilevarsi per gli aspetti formali della pittura, in generale tesa all'uso
di un colore puro ed immediato, che rivela però, ad un'analisi
meno superficiale, un'accurata ricerca sulla "costruzione"
primordiale del materiale colorante.
Anche in questa direzione, infatti, la ricerca di de Marinis ha scaturigini
nella lezione più antica ed è filtrata attraverso il lavoro
di restauro alle cui tecniche molte composizioni si richiamano.
In una condizione storica nella quale tutto è dato per scontato
e il colore nasce dal tubetto nella qualità voluta, la ricerca
sulle radici della cultura può avere anche questo risvolto, quello
cioè di una riproposizione, in termini decisamente dotti, della
materia vissuta come frutto naturale.
Di qui, anche il senso perenne dell'affresco, del mosaico e, in qualche
caso, delle figure tribali, quelle dei totem o degli scudi di guerrieri.
Perché, alla fine, in de Marinis a questo si riconduce l'attività
del dipingere, a una sorta di meditazione tra il concreto e l'astratto,
tra l'assoluto e il contingente, in cui l'artista, se non è lo
stesso stregone, ne è il braccio sapiente...
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