Il linguaggio incandescente del gesto

di Patrizia Ferri

Dalla rottura delle convenzioni accademiche iniziata con l'impressionismo, che coincide con la fine di un'epoca legata ad una concezione del monumentale, del finito, del determinato, la linea e il colore avanzano inedite modalità formali nell'intreccio di quell'unità segnico cromatica come scollamento da un codice naturalistico e rappresentativo e all'insegna di un interesse specifico alle problematiche del linguaggio avanzate dalle avanguardie del Novecento.
lì segno-colore con la sua duttilità risponde alle esigenze più diverse aderendo ad istanze del profondo o come traccia evocativa e lirica, oppure affermandosi nella perentorietà del gesto. Nella stagione informale il linguaggio segnico si dispiegherà nella complessità di un ventaglio di esperienze che trovano un'ampia risonanza anche nella contemporaneità più flagrante, depurate da quella tipica passionalità e visceralità. Gli artisti che lo sperimentano ne dimostrano la complessità nella vasta possibilità di organizzazione, e la dichiarata appartenenza ad un ordine linguistico non pregiudica il fatto che la sua essenza sia consona agli eventi del mondo. Il mondo entra nel linguaggio in quel riprodursi e relazionarsi del segno perché ogni fatto creativo e generativo nasce in un contesto dove ogni esistenza è legata ad altre esistenze.
La pittura oscilla sullo spazio della superficie tra il polo delle esperienze riduttive e azzeranti e quello di matrice segnica e informale, senza che queste forme di ricerca debbano necessariamente escludersi o contrapporsi. Emerge il senso di un progetto che accetta di dialogare con la tradizione delle avanguardie storiche riscoprendo la centralità della loro posizione. Progetto e utopia, ragione e trasgressione, costruzione sintattica e immaginazione fantastica sono i termini che si intrecciano nell'attuale valutazione di una superficie pittorica sottratta al facile ludismo della citazione e proiettata verso nuove definizioni di campo, dove il gesto del dipingere ha il senso di conciliare e rendere dialettiche le tendenze manuali e casuali con quelle mentali e strutturali. Ilmondo ha libero accesso nella pittura di Fausto de Marinis che assume preordinatamente una disciplina per la temperatura incandescente del gesto stemperandolo in una definizione di spazio come risultante di una serie di relazioni secondo la nozione di campo che permette alla mobilità dei segni di sistemarsi fuori di ogni addensamento di profondità. La bidimensionalità della superficie diviene termine di scorrimento nel definire i rapporti del linguaggio che scivolando non si addensano mai nel luogo statico di un singolo significato.
L'artista applica la nozione scientifica di campo per raffreddare lo spazio della rappresentazione e sbloccarlo da quella staticità che rende retorica ogni immagine. L'aggregazione e la sedimentazione del segno sono sottoposte all'oscillazione dello spazio come "campo", in cui tutto fluttua dalla profondità alla superficie, verso l'incontro con lo sguardo esterno non per azzerarsi ma per rapportarsi al sociale. L'alluvione dell'Adige del 1882, è la suggestione del recente ciclo di tele di de Marinis, tema in sè fortemente simbolico e attivante per l'immaginario dell'artista che si lega emblematicamente al disastro che si abbattè sulla città di Verona più di un secolo fa.
L'idea di catastrofe si lega allo squilibrio che viene insinuato nella strutturata codificazione del linguaggio: il linguaggio è disastrato, affonda, nel senso che si articola secondo linee di rottura di ogni analogia e sembra quindi produrre lo stravolgimento dell'unità semantica, di ogni costruzione prefabbricata. La creazione artistica è fatta di distacco e stravolgimento, di scollamento e riunificazione secondo parametri non convenzionali, e proprio nella rottura l'artista trova la sua non convenzionale individualità, il riconoscimento di una procedura che sembrerebbe non avanzare un'efficacia sociale.
Il procedimento di de Marinis è proprio la formalizzazione di una particolare dislocazione del linguaggio, nell'assicurare lo spettacolo del disastro, nel duplice movimento della distruzione e ricostruzione come arginamento formale del linguaggio, straripamento e riarginamento. Da sempre l'artista ha lavorato in una situazione che presuppone la catastrofe, per immettere un ulteriore evento destabilizzante che è l'unico in grado di denotarlo di statuto e identità. In una emblematica condizione di squilibrio realizza lo squilibrio a lui conformabile e conforme alla sua soprawivenza. Lo sconvolgimento introdotto dall'opera si situa in un contesto storico assolutamente non rassicurante: il problema dell'arte e il rovello di de Marinis è quello di determinare una forma linguistica che all'inizio sembra istituire un ancoraggio in quanto la forma nella sua tensione condensatrice tende a stabilizzare gli elementi scorti dall'artista. Il suo nucleo narcisista è il fattore di resistenza passiva che gli dà agio nell'articolare una meticolosa raccolta di resti, un'attitudine che sottolinea la sua cifra individualistica che non si fa coinvolgere più di tanto dai tumulti esterni.
La concentrazione e l'isolamento sono la condizione indispensabile per la costruzione e la decostruzione. Nel momento della creazione l'artista mette in parentesi ogni rapporto ed evidenzia il distacco favorito dalla sua particolare asocialità, sordo anche per i disturbi intrinseci all'atto creatico, per definizione destabilizzante, stemperando tutto in una particolare condizione di quiete dinamica. Egli è tranquillo nella sua postazione della differenza che ha rispetto alla realtà, della distanza che lo protegge dall'ottusità quotidiana perché da lontano si vede meglio lo spettacolo e si percepisce meglio il pericolo, il fluttuare delle correnti incontrollabili e infide. L'artista parte da questo osservatorio per inscenare poi il proprio spettacolo al limite dell'esemplarità.
L'arte non produce mai uno spirito di emulazione, ma di sorpresa e scoramento dimostrando così di essere irriducibile e ingovernabile; il corpo sociale è ricacciato nella sua posizione di puro osservatore, anche se qualche volta sognante. Esso, ci indica acutamente Achille Bonito Oliva, viene tenuto nella sua condizione di "onda", di movimento governato da forze superiori senza poterne simulare uno proprio. In questa debolezza si fonda, secondo il critico, la supremazia odiosa dell'arte.
I paesaggi interiori di de Marinis non sono tracce emozionali di una catastrofe emotiva, quanto l'effetto di una catastrofe assunta come procedura, giocando su una memoria formale consolidata, e per questo spersonalizzata, ma assecondata dall'abbandono di ogni orma esistenziale. Il soggetto è all'opera secondo la sua capacità di rispondere ad una realtà tanto più profondamente interiore quanto più si consolida all'esterno secondo la fondazione di una forma oggettiva perché appartenente alla memoria collettiva. Le forme in de Marinis assumono la liquidità bloccata della mappa, l'intreccio delle terre alla deriva è arginato dai confini dell'opera, dove le forme concordano in un abbraccio di energia, fissate in un silenzio oleoso. Forme geometriche e organiche come isole di un arcipelago che conosce le leggi del galleggiamento, a volte come ninfee sull'acqua e altre volte come solide finestre al muro. Anche la discontinuità dà modo di costruire il linguaggio come traccia, serve a liquefare e ossidare la densità monolitica e inossidabile di una tradizione dove indubbiamente trovano posto anche i momenti di compattezza dei simboli, per loro natura irriducibili.
L'atteggiamento di de Marinis argina la complessità dei dati culturali e dell'orizzonte visivo su un registro simultaneo che gli consente di agire sulle differenze sincroniche. Negli interstizi dei vari apporti abita la libertà dell'arte e dell'artista come artefice di nuove possibilità di articolazione del linguaggio.
Naturalmente Fausto de Marinis sa che ciò è possibile solo partendo dalla preventiva devastazione nicciana e poi edificando un altro ordine del linguaggio dove l'opera transiti attraverso slittamenti, tracce da mostrare, confluenze dei diversi linguaggi, modelli di tolleranza e coesistenza plausibili, da edificare e abitare.