Per la "prima" personale veronese del pittore Fausto de Marinis

Alessandro Mozzambani

Questo abruzzese, che abita e dipinge da nove anni in San Martino B.A. è quasi sconosciuto in città, sia alla gente del mestiere che al pubblico. L'occasione, offertami da Toni De Rossi ancora una volta, è quindi propizia per continuare sia la decifrazione che il consolidamento di quell'agglomerato vivo della "nuova" pittura, ora a Verona disponibile in 5 o 6 artisti in equilibrio tra la generazione dei 30 e quella dei 40 anni, facendo conto anche del protagonista odierno. La sua pittura ha curiosità intense di pieno appagamento materico-cromatico, e nel contempo una forte capacità di svelamento interiore. Inventare? Meglio scaldare lo spazio della superficie-quadro! Così ci appare un diamante steso e in parte piatto, mentre con piglio grezzo dispone bagliori e opacità autentici, liquide trasparenze e solide compattezze di cosa di natura. Per un tale pittore inglobare vuol dire distinguere più che recitare dinnanzi alla utilità inconsciamente (?) orgogliosa della frontalità figurativa, segnica, coloristica, pittorica. Il quadro vive la sua sospensione chimico-empirica, dibattuto tra il tempo e la sua presa d'atto esistenziale:
con supporti decisivi nell'instabilità del linguaggio (la pittura), la tecnologia operativa (il dipingere vero e proprio), la stabilità espressiva (la tematica), la mutazione espressiva (lo stile, la sua disinvoltura nel coacervo). Così si evita l'accortezza e il mero buon gusto o la rigidità classica del razionalismo, optando per la contradditorietà: cioè per quella distanza poetica moderna che è tra la lingua letteraria del poetico e quella parlata della poesia. Lo stimolo compositivo appoggia la voce-colore che si prova disarmonicamente (per umanità completa?) ora in espansione e ora in raffreddamento. La pittura diventa le sue leggi in rinnovamento, il rituale del "suo" mito, come un evento naturale, un fenomeno ciclico: sia pure disorganico e non sempre prevedibile. Gli strati, i segni, le materie, i pigmenti, le immagini, sono tutti momenti originari inquieti, quindi mai rassodati, perché anche il quadro concluso ha carica emotiva, virtù sensibile e intellettuale. La rappresentazione sfiora il racconto ma non lo assume a regola, e di racconto rimane solo quello della vicenda del quadro stesso: come rito e conseguente mito della pittura, della vita del suo artefice. Perché un quadro è pur sempre, ad onta del suo specifico oltranzistico, una vicenda umana diversa ogni attimo, e non come quella del vulcano uguale da millenni nel fuoco dinamico, nel silenzio pietrificato. Una serie fragorosa di significati nascosti rimane tra colore e colore, tecnica e tecnica, contraddizione stilistica e sua riproposta coraggiosa, ed è, genericamente, la storia non solo artistica della pittura. La disarmonia delle forze oppositive distingue molto de Marinis, confrontando anche oscuramente immagine e ritmo, ed è nella violenza della loro duplice maturazione che la distorsione dei significati primi determina-origina costanti di presenza espressiva, sue novità pittoriche. Siamo di fronte ad una pittura solare e notturna insieme, astrale quindi, e senza una centralità compositiva obbligata o psicologica. Agiscono in sua vece l'esplosione accidentata, l'impudicizia che sorvola la verginità, la neghittosità della liberazione "periferica". Il quadro è forte e duro, quanto pellegrino finché rincorre i propri intensi confini, fuori e dentro le manifestazioni ristrette della propria fisicità, del proprio universale (l'uomo) monologo. Raccomanda, questa pittura, la sua potenzialità dispersiva e plurilinguistica: riflessiva e oracolante insieme; la sua interiorità: ora in libera uscita e ora propensa a fissarsi in materia lavica, in materia archetipa, in cosa millenaria. La pittura vive ritualmente la complessa sua operazione mitica, coagulando l'ambiguità di materiali e di situazioni tattili diversissimi, ma sempre riscontrabili e numerabili (pur nel coacervo tecnologico e di poetica) nella superficie: definitivamente fissata, ma solubilmente destinata alla inquietudine del contatto sensibile e culturale, o culturale perché sensibile. La vocazione va al ricordare, ma pure a sobillare gli oroscopi, annullando, almeno pittoricamente, nel suo presente la distanza tra passato e futuro. Il pittore proietta, quindi, la terra della "grande sfera-grande madre" verso l'atmosfera e così la propone pittoricamente nella luce e nella composizione. Poi l'accende, o la nasconde, con il sensibile, il tattile, l'astrale. Religione e irrazionale profondo sono le due faccie di un'altra fede (antichissima) a cui riabbandonarsi dipingendo "mappe del cielo", richiami del tramonto o del mare e/o del colore, masse monocrome e campiture solenni da Matisse. La "tache" è ritmo, ma anche decorazione, segno fluente e curvilineo che si ripete poi come il tic della dispersione gestuale, dell'improvviso decadimento barocco dell'ornato, che, però, accresce, nella particolarità, il dinamismo interno del quadro invece di impreziosirne il solo tessuto di superficie. La zona solubile traspare disegni identificabili come degli oroscopi, degli ammiccamenti o scongiuri. Dimenticanza e voglia di dimenticare, orgasmo operativo e suo incidente memorabile, presente-passato-futuro nel "qui e ora", impossibile quanto duraturo, della pittura. Così le scritte e i riferimenti letterari (da Pavese) s'alternano, ancora, nello stesso quadro, da uno all'altro. Sono tutti i riferimenti sensuali e sensibili, culturali ed ineffabili, inconsci e di poetica; sono sogni e visioni, quanto una precisa volontà riassuntiva, elaborativa, pittorica. Si consideri al riguardo l'ambiguità delle materie pittoriche coabitanti, e si veda come siano quest'ultime dei veicoli portanti, dei segnali direzionali, delle provocazioni di idee e di fermenti complessi. Lo spazio del quadro privilegia (alla pari) colore e segni, figure e immagini, senza che una situazione "estetica" prevalga sull'altra. Senza che la sperimentazione prevalga sulla poetica, il linguaggio sulla cronaca, la pittura sulla vita. La sostanza della pittura è realtà fisica (irrazionale ma solidissima) e assume originarietà solenne. Nello stesso tempo essa rimane incertezza, coabitazione forzosa, sensibile istancabilità esistenziale, parzialità artistica. La tecnologia operativa è, ancora, provocazione al mestiere e omaggio allo specifico del mestiere. La pittura, infatti, non salva ma nemmeno condanna, purché non si imiti la natura ma la verifichi e partecipi, usando le forme e le materie pittoriche ben oltre le mosse tattiche del comandante che decideva l'assetto guerresco e la tattica di battaglia per vincere lo schieramento avversario. La pittura non ha disegni contro qualcuno, né si difende (o deve difendersi) da chiunque che non sia l'assuefazione, lo stilismo, il compiacimento di una trovata geniale, o occasionale.
La sua guerra privata è oscura, ma nitida si rivela via via, a mano che crescono i suoi spessori culturali e fisici.
Ciò che appare, di fatto, accresce e distrugge i suoi sentimenti, però questa condanna è parziale, e porta all'espressione, alla sua immaginazione potente, al suo potersi mostrare. Estroverso e ambiguo, il pittore usa materiali e stilemi alla rinfusa ma con precise finalità, con leggi antiche e con improvvisazioni organiche trovando dal vivo le necessità, o forzando nel colore la sua riluttanza a superare il primo fondamento lirico, il primo virtuosismo, la prima sensazione di assuefazione o di godimento.
Ecco la complessità plurilinguistica accennata, le coabitazioni forzose che scandiscono, o distinguono, l'acrilico, l'olio, la tempera del "fresco", l'impasto di cenere colla terre, quello di sabbia calce tempera "storica" (all'uovo). O lo scontro (la vivacità) dell'opaco con il lucido, del ruvido con il liscio, della campitura con l'atmosfericità e la solubilità pulviscolari. Ancora il tempo? Sì, purché ancora la pittura! La "nuova" novità della pittura sempre più nell'uomo e con l'uomo, come sua proiezione interna ed esterna. Pittura del desiderio e pittura del presente, pittura non divina e pittura religiosa, pittura databile e pittura senza diario e orari, quando l'incertezza è un conto prorogabile all'infinito tra l'empirismo tecnico e l'orgasmo espressivo, tra l'individualità del gesto e la fissità del colore, tra la materia e l'idea, la vita.

Agosto 1983